Architetture
del paesaggio archetipi della vita: Augusto Murer vent'anni
dopo
(Testo a cura di TIZIANA AGOSTINI)
Guardai: ero più in alto delle nuvole;
e già l'Athos e l'Olimpo mi parvero meno incredibili,
vedendo in un monte di minor fama
ciò che di quelli avevo udito e letto.
Quindi rivolsi gli sguardi dove tende il mio affetto,
cioè verso le regioni d'Italia
(F. Petrarca, Epistole familiari, IV, 1)
Sono trascorsi quasi vent'anni dalla morte di Augusto
Murer e quasi un lustro dalla conclusione del Novecento
di tragedie e di speranze: abbiamo intersecato questi
due tempi per comprendere quanto dalla risacca della storia
sia stato portato inesorabilmente via e quanto invece
da accadimento si sia fatto memoria da tramandare. Sicuramente
il divenire dei giorni e l'anelito costante a trascenderli
in sostanza ideale costituiscono il tratto più
importante della vicenda umana ed artistica dello scultore
di Falcade.
Istintivamente conosceva la materia prima del suo lavoro,
il legno, in quanto artigiano della montagna erede di
saperi consolidati in una cultura funzionale a vivere
ed esprimere un luogo, ma il suo talento e la sua passione
lo portarono oltre le montagne ancora giovane, a formarsi
nella veneziana patria dell'arte e a scoprire dall'incontro
con Arturo Martini la scultura come valore universale.
Egli ben presto comprese che l'arte ha dentro di sé
una sostanza utopica, un possibile che non ha ancora avuto
modo di realizzarsi, ma che si annida nel presente, nel
tronco ancora da scolpire, nella creta che attende una
figura.
La bellezza comincia per Murer a risiedere nella capacità
consapevole di conservare la propria storia e andare incontro
al proprio destino fino a sublimarlo. È una lezione,
questa, che ha ricavato dalla sua gente, di cui conosce
la fatica di abitare un luogo per sua natura non facile.
La vede da minatore forare le montagne, da pastore salire
in cerca di fazzoletti verdi per il gregge, spaccare legna
e falciare fieno per l'inverno. E poi vede le madri, creature
amorevoli e costantemente presenti nella vita dei figli,
che generano e accudiscono, a cui provvedono mentre gli
uomini sono lontani, in cerca di lavoro fuori della valle,
assenti per mesi o per esistenze intere. La prima scultura
di Murer è un canto corale, fatto di queste persone,
pannelli descrittivi di antica memoria, come nelle facciate
didattiche delle chiese gotiche. Anche le sue prime forme
hanno questo carattere arcaico, di figure piene nei loro
tratti essenziali, evocanti una società dei semplici
eternamente presente.
INAUGURAZIONE
(da sinistra)
Dir Musei Spoleto: Lamberto Gentili,
Critico d'arte: Duccio Trombadori,
Massimo Brunini Sindaco di Spoleto,
Pres Comm Cult. di Venezia: Tiziana Agostini,
Vice-Sindaco Giovanni Maria Casstellana. |
Spoleto:
Tiziana Agostini,
Duccio Tombadori,
Pino Martino
e Franco Murer |
Pastore
in bronzo esposto
in Via Delle Murelle
(SPOLETO) |
Un'arte che accompagna la gente, inquadrata orizzontalmente,
perché la fatica del vivere non ha gerarchie, ma
solo dedizione generosa. Portando i semplici nella sua
arte egli li rende finalmente protagonisti di un riscatto
personale e di un riscatto sociale, soggetti del tempo
e della storia.
Già questi elementi rendono l'opera di Murer necessaria
nella nostra bisaccia di viaggiatori del terzo millennio,
perché la centralità della persona, insopprimibile
nella sua unicità e dunque in quanto tale valore
assoluto da salvaguardare, finisce troppo spesso col trasformarsi
nell'egotismo sfrenato della società dei consumi
o subire una deriva valoriale, dove alcune esistenze sembrano
valere più di altre in nome di un individualismo
estremo.
Nelle sculture di Murer parla il suo protagonismo di artista,
ma le sue parole sono quelle di chi nella società
e nella storia non fa notizia e non va sui libri.
La sua capacità di sentire il dolore, di trascenderlo
in modo plastico, è divenuta particolarmente intensa
quando è stato chiamato a dare forma al dolore
e alla tragedia della guerra e alla lotta per la libertà,
rappresentata in Italia dalla stagione della Resistenza
e dell'esperienza partigiana. È per questo che
molte città lo hanno invitato a realizzare per
loro un'opera pubblica con funzione civile, perché
desse voce alla sofferenza e al riscatto, per realizzare
una sintassi di pietra e di bronzo. La sua capacità
espressiva gli derivava anche dalla personale esperienza,
che gli aveva fatto vivere direttamente la seconda guerra
mondiale, la brutalità nazista della morte e della
deportazione e l'eroismo dei partigiani delle montagne
bellunesi.
La statuaria commemorativa di Augusto, di grande intensità
e suggestione, come il monumento alla partigiana di Venezia,
affondata nell'acqua, ma non vinta, si inserisce nei luoghi
dove viene messa a dimora cambiandoli con la forza della
storia e della verità materializzata nelle forme.
Da queste opere traspare l'anelito incontenibile alla
libertà, che neppure il più crudele carnefice
può sopprimere, seppure ha cancellato l'umana esistenza
della sua vittima.
Il carattere "popolare" di Murer costituisce
però solo un aspetto, anche se centrale, della
sua attività, e non restituisce appieno il senso
e la qualità della sua ricerca artistica.
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D.
Trombadori e F. Murer |
Esposizione |
Via
Delle Murelle |
Uomo della montagna per nascita, uomo del popolo per scelta,
desideroso come in una ascensione di superare la grevità
della materia, metafora della grevità della vita,
in una leggerezza del risultato espressivo, similitudine
dell'ascesa spirituale e del riscatto esistenziale. Anche
nei suoi disegni i tratti del carboncino sono colpi d'ascia
che tolgono dalla realtà la sua pesantezza alleggerendola
nelle forme dell'espressività estetica. Quella
di Murer è infatti una attività maieutica
di socratica memoria, è la tecnica della levatrice
che scava per portar fuori la vita.
Scavare, togliere dall'informe oscurità l'eccedenza
e scoprire il bello che dentro vi dimorava, come nei legni
che la natura ha prodotto e che la mano dell'artista ha
trasformato in prodotto di cultura, prodotti cioè
dell'ingegno che dà forma e rappresenta il mondo.
La sua arte ha un carattere ctonio, nasce dall'oscurità
della vita, che è anche l'oscurità del bosco
fitto, dove la luce penetra solo a fatica. Ma come dall'antro
sotterraneo di Efesto usciva lo splendente scudo di Achille,
dalla forgia di Augusto sono emersi i suoi bronzi, prodotti
di un vulcano, sostanza magmatica che rapprendendosi riesce
a conservare la potenza della natura e lo stupore del
vivere.
Alla base dell'opera di Murer c'è infatti il contrasto
antropologico tra natura e cultura, un contrasto combattuto
con gli strumenti dell'arte, da demiurgo-stregone che
dà nuova forma alle creature. Perché la
sua è la forza di chi alla natura impone la storia
come l'architetto Frank Lloyd Wright a una cascata imponeva
una casa, né per violarla né per indulgere
ad un bucolico abitare il paesaggio, ma per affermare
che l'umanità con la natura deve confrontarsi con
piena responsabilità.
L'arte di Augusto, riprendendo il magistero socratico
prima ricordato, intende promuovere il bene per la polis,
perché nell'affermare l'unicità umana, nel
contempo ricorda che non è possibile un bene individuale
indipendentemente dal bene della comunità. Nel
bene collettivo c'è il bene dei singoli.
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Fauno
Seduto
Via delle Murelle - SPOLETO |
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Dal punto di vista espressivo, se nel corso della oltre
quarantennale attività di Murer si può cogliere
un progressivo slanciarsi della figura umana, specie rispetto
alla prima stagione giovanile che approda in fretta ad
una maturità consapevole, costanti nella loro varietà
si mostrano i soggetti rappresentati.
Tema realizzato in materiali e tecniche diverse è
quello femminile, legato alla dimensione intima e domestica
della maternità e dell'identità privata,
tributo discreto e intenso alla donna quale figura centrale
nella vita del figlio e della montagna. Quelle di Murer
sono donne dove la lettura sacra della maternità
per gli altri - di Maria madre di Cristo per l'umanità
- è diventata realizzazione personale della giovane
che diviene adulta grazie alla consapevolezza della vita
che ha saputo generare. Madre dolce e felice, appagata
della propria condizione, rappresentata nelle forme del
legno scheggiato come un tetto di montagna a scandole,
memoria sullo sfondo del non finito michelangiolesco,
o levigato in volume imponente e girevole, rimando quasi
in forma di tributo alle forme di Moore e dei cubisti
di inizio novecento.
Accanto alle madri le donne, creature per una volta sottratte
alla fatica quotidiana che gioiscono al sole o che si
dedicano alla propria persona. Donne archetipo del bello,
come nei mirabili Torsi di donna.
Creature della natura, nella loro ingenuità esistenziale
sono anche i fanciulli, come l'Adolescente nel legno levigato
del 1960, o nel ragazzo che racchiude tra le mani la Rondine
ferita (1965), perché solo i semplici e i puri
sanno accorgersi della sofferenza del mondo.
È un adolescente anche Arlecchino, raffigurato
a più riprese, nelle forme acerbe di chi non è
ancora adulto, ma se ne sta chiuso nella sua incertezza
sospesa di chi vive il Carnevale per gli altri e non per
sé, pur essendo il simbolo della gioia e della
festa. Le linee incise sulla scultura a rappresentare
i rombi dell'abito variopinto restituiscono un corpo in
movimento, quasi che vestito e pelle si siano fusi in
un tatuaggio esistenziale. Appartengono alla famiglia
sognante dell'umanità anche Zingare e Ballerine,
che Augusto scolpisce.
Ma accanto al sogno c'è il dolore, quello soprattutto
generato dagli uomini che non hanno ascoltato il magistero
della vita: l'Alpino diventa così l'esempio ideale
di chi è andato alla guerra, senza abdicare alla
propria umanità. Da questa idea nasce anche la
sua corrispondenza di affetti e di sentire con un altro
grande della montagna, Mario Rigoni Stern, che sceglierà
un disegno di Murer per la copertina del suo romanzo Il
sergente nella neve. Rigoni Stern, un sergente di Asiago
sopravvissuto al grande inverno russo degli italiani mandati
a combattere durante la Seconda Guerra mondiale, capaci
di sottrarsi all'accerchiamento nel tragico combattimento
di Nicolayewka, accadimento rappresentato da Murer in
una forma non compiuta di legno. E male assoluto è
quello generato dagli uomini con la devastante potenza
delle bombe atomiche, fissato nella scultura che dedica
a Hiroshima, legno rattrappito di dolore.
Anche gli animali partecipano dell'umanità mureriana
e ne testimoniano i simboli positivi, come la forza generatrice
del toro e l'ideale lieve e luminoso di pace della colomba.
Accanto agli animali e agli uomini ci sono le creature
del bosco, i fauni che Augusto ha incontrato e fermato
nel bronzo, per farci sognare in questo mondo così
ancorato alla realtà immediatamente evidente.
Osservare e lasciarsi prendere da una scultura di Murer
è allora ritrovare la memoria di un'età
dell'oro oscurata dal dolore e dalla banalità del
vivere, risalire nelle epoche e nello spazio, ascendere
alla sostanza ultima dell'umanità, perché
Augusto, con l'espressività silenziosa dell'arte,
ci ha materializzato, nelle forme del bello, gli archetipi
universali della fatica, del dolore e della transitorietà
della gioia, in una speranza possibile di riscatto, non
al di là del mondo, ma in questo nostro tempo.
Testo a cura di:
Tiziana Agostini