Mario Rigoni Stern:



"Una nota per Augusto"
Rigoni Stern e Murer
Rigoni Stern e Murer

1974
Passano le stagioni: si alternano caldo e freddo, temporali e nevicate; calamità naturali; anche Governi, dittature e democrazie; scandali, atti terroristici, fondamentalismi e guerre.
Si muore, si nasce ma si continua a sperare.
Ricordi Augusto? Avevamo camminato insieme ad una manifestazione per la pace in Vietnam; eravamo in tanti quel giorno a Mestre. Assieme a Guttuso, a Tono, a Pizzinato, a Vedova, a Trentin, a Baratto, a sindacalisti e parlamentari, c'era tanta gente: operai di Marghera e studenti, professori di Università e operai dell'Arsenale, tessitori di Schio e di Valdagno, contadini del Polesine, pescatori di Chioggia e noi che eravamo scesi dalla montagna: un popolo eravamo. Chiedavamo la fine della guerra, la pace, il ritiro degli Americani. Non avevamo armi né bastoni, né sassi da lanciare: solamente la forza della nostra voce e della nostra convinzione. Fu una bella giornata, da ricordare.
Questo giorno mi è venuto chiaro nella memoria sfogliando i cataloghi delle tue opere: c'è tutto nella tua arte: ritrovo la nostra storia, la nostra dura vita, le nostre lotte e le nostre speranze, ma anche i giorni felici che tu da artista hai vissuto e lasciato a testimonianza del nostro tempo nei venturi secoli. Hai dato poesia agli uomini, hai tracciato una strada da percorrere partendo da lontano.

Quando eri partigiano i tuoi compagni ti chiamavano l'Artista perché in una terra di emigranti e di boscaioli ti eri messo in testa di voler fare lo scultore: dentro di te sentivi di aver qualcosa da dire e eri convinto che il cavar fuori figure dagli alberi doveva essere il tuo linguaggio. Vedevi dentro quei tronchi la fatica della tua gente, la solitudine delle donne, la fiducia e l'innocenza dei bambini, i volti dei minatori. Volevi esprimere nell'essenza queste vite di montanari poveri, della nostra gente montanara ma anche la tua con loro perché anche tu eri figlio di emigranti e il tuo cognome, Murér, vuol dire "muratore", uno che lavora a costruire case per gli uomini dove vi è necessità. Le tue case erano le opere dell'arte, perché anche di queste di uomini hanno bisogno. Il tuo istinto ti portava a guardare dentro le anime e dentro la materia, e, da questa, esprimere l'esistenza. Non era semplice; né facile; un lavoro duro anche fisicamente.
Conoscevi gli alberi: il frassino, "il primo degli alberi", il grande albero che lassù nel Nord si innalza nel cielo a reggere l'universo e i suoi rami si espandono su tutta la terra: accanto a lui, nella fonte di Urdhr, le Norme determinano il destino degli uomini.
Quando andavi per i boschi e nei posti più selvaggi ti imbattivi in un vecchio frassino, guardavi con intensità quell'albero solitario e tormentato vedendo dentro quelle forme umane che poi hai fatto vivere.
Conoscevi il cirmolo secolare che vive sulle rocce e nella neve da dove viene il legno che profuma la casa e che gli insetti non intaccano: è docile allo scalpello, il suo colore caldo è di grana fine: lo guardavi con stupore e ammirazione: ci vedevi dentro la figura in una grande madre con un bambino. E ancora il larice, il peccio, l'abete, il tiglio, il ciliegio. Gli alberi della tua vita, dei tuoi boschi; quelli da danno ai montanari casa, caldo e cristi in croce.
Così, dopo averli scoperti, saliti, accarezzati e intuiti nella loro essenza vitale hai incominciato a conoscerli non come legna da riscaldare l'inverno o per cuocere il minestrone ma per comunicare qualcosa e a un certo punto hai confessato:"ho incominciato a graffiare sul legno un volto, una mano al lavoro, un vecchio. La realtà che avevo di fronte ogni giorno. Il mio mondo".
A piedi e con sacrificio hai voluto raggiungere Ortisei alla scuola d'intaglio. Nel 1943 ti trovi a Venezia; non puoi frequentare quell'Accademia ma lavori da garzone con Arturo Martini che, dici "mi tolse le bende dagli occhi, mi levò le cateratte " e ti parlava agitando in te una quantità di idee.

L'Alpino
"L'ALPINO" -1966
da "IL SERGENTE NELLA NEVE"
di Mario Rigoni Stern

Ma già nel 1941 - avevi 19 anni! - da un pezzo di palanca avevi ricavato una figurina di uomo in piedi che si appoggia a un bastone. L'avevi intitolata Momento di sosta. E' una figurina ingenua, alta venti centimetri ma sembra un gigante, non ha misura. Non è un uomo in riposo, è una sosta di riflessione forse su quello che stava accadendo sulla terra dove, come tormenta che non posa, infuriava la seconda guerra mondiale. Eri tu che riflettevi.

Dopo, con l'8 settembre 1943, la guerra arrivò anche a Falcade. I tuoi compaesani, quelli che l'emigrazione prima e la cartolina precetto dopo avevano portato lontano e con lunghe marce erano ritornati a baita, scelsero la dura e pericolosa strada della resistenza tra le montagne.
Tu non potevi che essere con loro e nella Brigata diventasti l'Artista come nome di battaglia, non l'Augusto di Molino.
Nella loro ingenuità, nella loro istintiva cultura avevano capito quello che i critici capirono solo dopo qualche anno. Come partigiano disegnavi i tuoi compagni nella lotta, nella morte, nel riposo, le case devastate e profanate; con la creta abbozzasti un partigiano morente.
Un giorno mi raccontasti di aver avuto un incontro con un piccolo gruppo di ebrei che, partiti dal mio Altopiano dove erano stati internati, tentavano di raggiungere un luogo di salvezza in qualche parte dove non c'erano nazisti. Erano macilenti, affaticati, affamati e camminavano da monte a monte evitando i centri abitati. Tu li accompagnati verso oriente dove vi incontraste con altri partigiani che li presero in protezione verso altra meta. Mi chiedevi se avevo saputo il seguito della loro storia. La sapevo in parte: alcuni di loro furono fucilati alle Fosse Ardeatine, altri catturati. Fu questo ricordo che scolpisti qualche anno dopo nella Via Crucis?
Una primavera ritornò la pace e la vita riprese sulle distruzioni. Anche nella Valle del Biois si ricostruiscono le case bruciate. Sposi Ada, la tua bella compaesana, sorella di due partigiani tuoi amici caduti. Riprendi a scolpire e a disegnare, ma era duro guadagnare la vita; in quel tempo, in montagna, eravamo tutti poveri. Si emigra in tanti: Tu avevi scelto di restare e resistere. Mi raccontavi che un giorno stavi scavando una maternità da un grosso tronco e un tuo compaesano emigrante stagionale ritornato a casa per svernare ti osservava in silenzio fumando la pipa. Dopo un po' di ore che lavoravi gli chiedesti: "Cosa ti pare". Ti rispose :"Sei fortunato a lavorare al coperto".
Ma era difficile avanzare soldi per una statua di legno e fu gran giorno quello che il medico "Lise" ti comperò una testina per cinquemila lire. Il resto si sa: incominciarono a conoscerti fuori dalla tua Valle.

Zancanaro e Murer
Tono Zancanaro e Augusto Murer
Ti sapevo a Padova in ospedale; un giorno scesi con la corriera per salutarti ma Tono mi sconsigliò.
Lui ti aveva visto il giorno prima. Il tuo forte corpo ti stava lasciando.
Oggi, a sfogliare i tuoi cataloghi, a vedere i tuoi disegni, a leggere quello che hanno scritto di te grandi poeti, illustri critici d'arte, fini letterati, a ricordare le tue opere sparse nel mondo, le grandi mostre, ci si rende conto della grandezza della tua arte, di quello che hai voluto dirci con la tua testimonianza di uomo libero, di tenace montanaro che crede nei valori della vita.
Da quassù, da questo tuo "Studio-Museo" di Molino, il tuo messaggio continua a raggiungerci forte e preciso, anche e più ancora in questi tempi moralmente grami.

 

Asiago, 21 gennaio 2002 Mario Rigoni Stern

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